Come i soldi del sud alimentano la spesa sociale del nord

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fallimento-bancheIl tessuto produttivo italiano è costituito principalmente da medie e piccole imprese. Dal momento che queste hanno scarsa possibilità di ricorrere ai mercati finanziari per sostenere la loro attività diventa centrale per lo sviluppo del nostro Paese, il ruolo svolto dalle banche nell’erogazione del credito.
Per capire come il sistema bancario italiano abbia contribuito al mancato sviluppo del sud negli ultimi quindici anni dobbiamo fare una premessa storica.

Negli anni ’90, al fine di traghettare le banche da pubbliche a private, vennero istituite in Italia le cosiddette “fondazioni”. Queste, detenendo una quota di proprietà delle rispettive banche dovevano continuare a svolgere quelle funzioni sociali, sul territorio d’appartenenza, che la privatizzazione poteva compromettere. E tutti noi sappiamo quanto questo ruolo fosse di vitale importanza in un Paese dove la prima cosa che si taglia è la spesa sociale (volontariato, famiglie, università e ricerca, sport, ecc..). Purtroppo nel meccanismo di redistribuzione qualcosa è andato storto e ad oggi su 89 fondazioni, solo 6 sono del sud. In più le fondazioni bancarie del nord (83 su 89) spendono ovviamente al nord i soldi che prendono dal sud. Per capirci: un anziano meridionale che ha un deposito in banca contribuisce a far star meglio il suo omologo settentrionale invece che se stesso.
Questo già pone un grosso problema di ingiustizia sociale, non si capisce perché in una Paese che sia UNO i cittadini debbano avere uno stato sociale più forte al nord che al sud.

Appresso a questo, si pone poi il problema economico. Tanto per incominciare le esigenze delle pmi meridionali non possono trovare risposte nelle politiche dei grandi gruppi bancari settentrionali, ad esempio vengono utilizzati strumenti di valutazione del rischio inadeguati al contesto produttivo meridionale basato sulla piccola impresa tradizionale, perché troppo impersonali. Ma più clamore ha il fatto che in un’Italia a doppia velocità, anche i soldi hanno un costo diverso in base alla latitudine. Infatti il tasso medio in Italia per i prestiti concessi a breve termine è pari al 6,43%, ma lungo lo Stivale si riscontrano notevoli discordanze: mentre le città del Centro-Nord possono beneficiare di tassi intorno al 5%, le città del Sud arrivano a pagare prestiti a breve termine con tassi fino al 9%.
Questo comporta una maggiore difficoltà per gli imprenditori meridionali nel reperire capitali da investire, tassi d’interesse più elevati, quindi maggiori rischi, maggiore difficoltà di rientro, maggiori possibilità di non poter accedere al credito. Come se non bastassero già i fattori ambientali a penalizzare il sud, come se non bastasse la mafia o l’assenza di infrastrutture, gli imprenditori meridionali assomigliano sempre di più a degli eroi. Ecco il paradosso, al sud invece di esserci tassi d’interesse più bassi per favorire gli investimenti, ci sono tassi più alti per rendere la sfida più emozionante.

E allora di cosa vogliamo parlare, come può il sud colmare il gap economico se lo Stato non crea le condizioni necessarie. Come pensiamo di poter sviluppare questo territorio se chi fa impresa invece di essere sostenuto viene invece ostacolato da condizioni strutturali irrisolte per mancanza della volontà politica necessaria.
Il Nord e il Sud di questo stesso Paese Italia, viaggiano a velocità diverse perché a tutt’oggi poco o nulla si fa per invertire la tendenza, tutto ciò che conta davvero continua ad essere in poche mani settentrionali, da Confindustria alle Banche. I politici e i burocrati del nord continuano a monopolizzare la ricchezza e gli investimenti (con i soldi che incassa dai biglietti che si fanno al sud, Trenitalia costruisce l’alta velocità solo al nord) dell’Italia, mentre i nostri rappresentanti restano a guardare, forse impotenti forse complici.

Danilo Greco

Sud-Italia

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Avvocato, da sempre attivo nel sociale, da poco in politica.
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